(da IVM Magazine 2/95)
Molti sono gli storici o scienziati che in passato hanno scritto sui giacimenti di minerali di ferro presenti sulle Orobie (da citare sono il Quadrio , l'Orsini, il Bassi, il Ninguarda, il Curioni e tanti altri); più recentemente, a testimonianza dell'antichità di queste ricerche minerarie Loredana Dell'Avanzo Stefani riportava, sul Bollettino della Società Storica Valtellinese del 1989 che il passaggio al trattamento indiretto del minerale risulta documentato addirittura dal 1226; d'altra parte ben si sa come la ricerca dei minerali nelle nostre montagne, risalga addirittura alla preistoria, quando i primi cacciatori epipaleolitici si spinsero avventurosamente in Valtellina seguendo il ritiro dei ghiacciai.
La presenza di questi filoni (inseriti in genere negli scisti arenacei e porfirici della cosiddetta formazione del Collio(Val di Scais e Venina) e anche nel Verrucano) che furono poi sfruttati intensamente dal '500 fino alla fine del secolo scorso, è segnalata anche da toponimi che si ripetono simili non solo in provincia, ma in tutta la penisola, là dove si trova appunto traccia di lavorazione di minerali: vedi il toponimo Fusine, diffuso non solo da noi ma in provincia di Belluno, di Udine, di Como ecc. oppure il toponimo Forni o Forno presente anche da noi in Alta Valle e affibbiato sia alle Cime che al ghiacciaio della zona e in Val Malenco dove questa toponomastica riguarda un passo e il vicino monte.
Percorrendo i sentieri orobici è facile notare resti di forni un tempo costruiti con muri a secco e abbondanti resti di materiale di fusione; importanti giacimenti di minerale di ferro , per lo più ematite o oligisto e Siderite(Val Venina), si trovano in Val Gerola nelle vicinanze del Lago d'Inferno dove sono ben visibili anche notevoli tracce degli impianti di lavorazione, nella valle di Albaredo, in val di Tartano nella zona dei laghi del Porcile(Val Lunga), in val Madre, in val Cervia, nella valle del Liri (appena sotto il Corno Stella), in Val Venina, in val d'Ambria e Arigna fin poi in val Belviso.
G.Guicciardi ricordava, a proposito della val Gerola, su una Rassegna Economica della Provincia del 1980:"La zona delle miniere e dei relativi vicini forni di arrostimento è piuttosto estesa ed occupa grosso modo, un quadrilatero che ha come vertici: a sud, la diga del lago d'Inferno(m.2051); ad ovest, la bocchetta di Trona(confine con la Val Varrone); ad est il lago di Trona(m.1764)e, a nord, la Casera di Trona Vaga(m.1830).
(La roccia di giacitura del filone è il tipico Verrucano lombardo dove di recente sono state segnalate importanti tracce fossili di impronte di tetrapodi. (ndr).)
Così continua il Guicciardi: "Le miniere sono costituite da scavi a cielo aperto, solchi più o meno lunghi, molto numerosi, anche in luoghi pressocchè inaccessibili e, per lo più situati lungo il torrente che scende dal lago. Particolarmente imponenti sono gli scavi vicinissimi al lago d'Inferno, sulla sinistra del torrente, con larghezze variabili fino ad un massimo di 5-6 metri........Sono stati individuati circa 25 forni nella zona, di cui 6 tutti vicini su uno spiazzo presso la casera di Trona: in genere questi forni sono più piccoli di quelli dell'Inferno e hanno un diametro di m.1-1,30 e profondità di m.0,60-1; spesso sono scavati nel terreno o addossati a rocce.".........
"Nella valle del Bitto di Albaredo erano attive già dal 1392(Orsini) miniere di ferro al Bosco di Orta, vicino alle "Scale di Orta"dove la strada Priula per il S.Marco sale con ripidi risvolti: nella zona, per gli amatori, dirò che ho visto anche grossi cristalli di granato almandino, negli gneiss.
Nella zona vicino al lago di Pescegallo tra il Monte Ponteranica e il passo di Salmurano, lungo il confine con la Bergamasca erano coltivate miniere a cielo aperto: a quota 2150 m. circa ci sono due scavi disposti lungo la linea di massioma pendenza, lunghi 18 e 10 m., uno largo fino a 3 m., l'altro stretto da 30 ad 80 cm.... Si direbbero cavità naturali riempite di siderite d'origine secondaria con tracce di manganese e presenza di rari campioni di oligisto lucente...L'ambiente litologico è costituito da gneiss di Morbegno con poche isolate tracce di Verrucano."......La zona sopra ed attorno al lago di Pescegallo è tutta spoglia di vegetazione(oltre che per l'altezza ndr) per conseguenza del disboscamento per la produzione del carbone: sotto il lago si vede ancora una "aiall", piazzola di una decina di metri di diametro ad uso di vecchia carbonaia."..........Ancora il Guicciardi porta interessanti notizie sulla val Cervia e val Madre:"Sul versante est(Cervio) della cima Vitalengo si apre una galleria(2050 m. circa) di sezione piuttosto ampia, accessibile per 10-12 metri, poi franata(citata anche dalla De Stefani ndr).
E' scavata in scisti cristallini, l'ingresso è sostenuto da travi di legno, ormai vicine al crollo. Era detta "Flere" oppure "i Fleri"......Da quelle parti si è rinvenuto anche dell'Oligisto(ossido di ferro) di tipo micaceo, non utilizzabile nei forni di allora. Poco più sotto, in val Madre, sopra la casera Garassone(1992 m.) si aprono i solchi di una coltivazione a cielo aperto di siderite. Sempre su questo versante destro della val Madre, tra la casera di Vitalengo e la baita di Vendullungo si incontrano a quota 2000 m. circa i resti di un forno di arrostimento in muratura a secco...........".
Ornella Forza, autrice di un articolo sulla Comunità di Albosaggia apparso negli anni 80 sulla Rassegna della Provincia, così ci parla della val del Liri:" Anche in territorio del comune di Albosaggia, e precisamente nella valle di S.Salvatore, esistevano una miniera e dei forni fusori dove si svolgeva una certa attività. Detta miniera sfruttava una cava in verticale, che sul principio del secolo, arrivò a una profondità di trenta metri con uno spessore di minerale di circa otto.......Nella valle del Liri si fondeva anche il ferro proveniente dalle vene della Val Venina o dalla Bergamasca portato attraverso il passo della Vena(oggi passo dello Scoltador....(F.S.Quadrio-1755 ndr).. Qui si trova un piccolo maggengo denominato "Il Forno", (ricordato anche nel 1873 dal Bonadei in occasione di una gita del CAI al Corno Stella) dove si trovava un antico forno fusorio di proprietà della famiglia Motta, distrutto poi da una valanga(Saffratti ndr) e fatto definitivamente sparire da un'altra valanga nel 1977(Guicciardi ndr).
Il Guicciardi fa notare la presenza di una galleria anche allo sbocco della val del Liri: "Scendiamo a Caiolo: in sinistra del torrente Livrio, nello sbocco della gola montana, poco oltre una grossa cava di pietrame, con difficoltà si riesec a trovare oggi una galleria, appena sopra il livello del torrente. La roccia è della famiglia dei micascisti di Edolo, granatiferi con vene quarzite .........E' lunga circa 60 m. e termina in una camera ampia e pressochè circolare.....".
La De Stefani, già citata, ci ricorda la presenza di miniere sia in val Venina come in val d'Arigna e in val Belviso e riportando la Guida della Provincia del Gianasso ci dice :"in val Belviso , dove, come riporta la guida del CAI doveva esserci un passo antico dei carbonai utilizzato per il trasporto del carbone di legna in val di Scalve; in val Venina e nelle sue convalli, val d'Ambria, valle di Caronno o val di Scais e val Vedello: infatti vicino al rifugio Mambretti(m.2003) si vedono gli ingressi di alcune miniere.
Più sotto, sulla destra orografica del torrente Caronno, verso il passo della Scaletta(m.2530) si ritrovano un forno e dei ricoveri per minatori."
Sempre negli anni '80 F. Bedognè, riportando il Curioni e il suo trattato di geologia del 1877, ci descrive sul Notiziario della Popolare i giacimenti della val Venina e della val d'Ambria: Un primo giacimento era ubicato in val Venina " a sud del lago di detto nome, nel sito denominato La Colera" ed era costituito da un banco di siderite, disseminato di granuli di pirite con tracce di rame. Il giacimento"che ha l'apparenza di costituire un filone molto potente si dilata nella profondità finora raggiunta sino ad 8 metri, mentre nelle parti superiori non eccedeva i 4 metri. Escavato anticamente, ne furono ripresi i lavori nel 1866.....Una miniera di ferro spatico era "situata in val d'Ambria, tra il pizzo Zerno e il pizzo del Diavolo, versante Nord" ed era "coltivata per alimentare gli alti forni di Premadio presso Bormio".Il minerale era una siderite manganesifera" di color chiaro con ganga silicea e serpentinosa" costituente "un banco della saldezza di metri 8, avente per letto il gneiss a grana fine".
A proposito del progressivo decadimento dell'attività estrattiva sulle nostre Orobie si possono riportare varie citazioni: Lo storico Quadrio nelle sue Dissertazioni critico storiche, a proposito della val d'Ambria afferma: "che le miniere della val d'Ambria, onde si traeva ferro e rame e per avventura oro, famose sotto i Visconti" si erano lentamente ridotte a grandi scavi tutti d'acqua ripieni."
B.Leoni sottolinea ne "La Magnifica Comunità et li Homini delle Fusine"come le miniere di ferro del versante orobico ebbero tutte attività piuttosto irregolari e come spesso rimasero incolte perchè poco redditizie. La più ricca di tutte, per abbondanza di minerale di ottima qualità, fu ad ogni modo sempre secondo il Leoni, quella posta in val Venina.
Come ricordano sia il Leoni che la Forza la fine dell'attività estrattiva e fusoria, si può datare, attorno al 1874 quando le Orobie furono sconvolte da grosse valanghe che provocarono danni irreparabili ai forni e alle ferriere.
Così il Leoni: "Nel 1874 le miniere e le fucine erano tutte abbandonate; oggi qua e là se ne vedono soltanto i melanconici ruderi. Le ragioni della cessazione di queste attività metallurgiche si possono riassumere in questi tre punti:1)L'enorme fabbisogno di legna il cui prezzo era troppo elevato a causa dei grandi disboscamenti 2)l'aumento del prezzo dei trasporti e della mano d'opera 3) la concorrenza esercitata sul mercato dal ferro belga e inglese, che sebbene di qualità inferiore, costava assai meno."