Da "Il Giorno" del 9 settembre 2007

[…] Riuniamo gli sforzi perché se dei nostri uomini migliori non ci interessiamo noi, nessuno se ne interesserà […]. E' questa una frase tratta da un articolo di Livio Benetti dedicato a Gian Pietro Ligari, comparso nel 1952 sul Corriere della Valtellina, indicativa di quanto l'artista sentisse necessario che tutti, la gente comune, ma soprattutto gli addetti al lavoro, le amministrazioni e i Comuni si dessero da fare per ricordare con una certa costanza almeno gli artisti locali più significativi; sul tema ritornerà poi anche in altri scritti come quelli su Picasso, Giacometti e Modigliani, anche se non valtellinesi, lamentando sempre una certa cecità e trascuratezza sia nella critica che negli organismi preposti, e chiaramente parlava a Tizio per far capire anche a Caio.
Ho citato questa frase perché questa raccolta di scritti è nata non tanto dal desiderio di raccogliere la produzione letteraria sparsa un po' dovunque su quotidiani, periodici e pubblicazioni varie, intento che, si dirà, è pur sempre meritorio, ma proprio dal desiderio di ricordare e far soprattutto ricordare, ad una città che è poco propensa alla memoria ed anzi tende a dimenticare e ad oscurare anche quel poco di artistico che arricchisce ed impreziosisce le sue vie; mi riferisco a tante opere installate qua e là per la città, non solo di Livio Benetti, che hanno richiesto agli autori tanto impegno e che piano piano spariscono, nascoste dalla polvere, da cespugli, alberi, cartelli e che qualche volta addirittura vengono dimenticate e spostate dalla sede originaria, nell'indifferenza generale.
Questa incapacità di valorizzare i propri talenti, insieme alla carenza di una critica valida in valle, che fosse in grado di accompagnare l'artista lungo il suo difficile percorso di crescita, sono due dei temi più ricorrenti negli scritti d'arte di mio padre, anche se, bisogna dire, questo stato di cose non gli ha impedito una produzione che si rivela di giorno in giorno sempre più ricca, tanto da indurmi a riformulare la domanda che lui stesso si era posto nell'articolo sul sommo Michelangelo, comparso nel 1964 sempre sul Corriere della Valtellina, quando si chiedeva: […] ma come ha fatto quest'uomo ha lavorare tanto? […].
Sue opere infatti, data l'abitudine di regalare schizzi e acquerelli a parenti ed amici, sono presenti un po' dappertutto, presso privati ed enti vari in Italia e all'estero, per cui il lavoro di catalogazione avviato con la mostra del decennale del 1997 si rivela molto lungo e faticoso. Ma a parte gli schizzi, i disegni, gli acquerelli, le acqueforti, le tempere e gli oli, ci sono innumerevoli opere di scultura, affresco, graffito e mosaico nascoste qua e là in tutti centri maggiori della valle, per primo Sondrio, dove se ne contano più di quaranta senza contare quelle presenti presso il Museo valtellinese di Storia e arte, ma anche in quelli minori, dal piccolo paese di montagna a quello di fondovalle e spesso anche presso qualche rifugio alpino come alla Capanna Marinelli o disperse in qualche alpeggio come accade sopra Rodolo o all'Alpe Mastabia in Val Malenco o in cima ad una diga come in Val Venina o a Frera in Val Belviso.
Tra tutte questi lavori ce ne sono anche alcuni di notevole importanza e di grande dimensione, come il Monumento ai Caduti di Aprica, quello di Sondalo, o il Monumento alla Resistenza di Sondrio che di certo non sono da considerare più belli o di maggior rilievo solo perché grandi, ma sono però da guardare con maggiore considerazione pensando che mio padre lavorava da solo, senza assistenti o aiutanti e che era solito completare il lavoro procedendo, dopo la creazione dell'opera in plastilina, anche alla formatura in gesso, fase che chi conosce il complesso procedimento della fusione in bronzo preceduta dal ritocco delle cere da parte dell'artista, sa bene essere una delle più impegnative e faticose, non solo per la fragilità della materia prima, ma anche proprio per lo sforzo fisico e l'attenzione che richiede.
Non è che non avessi già un'idea della copiosa e variegata attività di mio padre, ma senza dubbio il lavoro di ricerca dei testi, della loro lettura e continua rilettura, necessario all'assemblamento di questo volume, mi ha fatto riscoprire insieme a molte opere anche alcuni aspetti, soprattutto dell'attività politica e nell'ambito del turismo che mi erano a suo tempo sfuggiti. Molti suoi scritti, in questi ambiti ma anche in tema di scuola e lavoro mi sono risultati completamente nuovi, restituendomi così una figura della sua personalità, molto più completa e ricca di sfacettature.
E' anche per questo motivo, per dare cioè al lettore un'immagine per così dire "a tutto tondo" dell'uomo Livio Benetti, che mi è sembrato più corretto non limitare la raccolta dei testi al solo campo artistico ma di allargarla a quei settori che pur non essendo legati alla sua attività primaria, hanno costituito senza dubbio aree importanti del suo impegno nel lavoro e nel cosiddetto tempo libero, cui si dedicò con la serietà e la passione che gli erano caratteristici.
Ho così avuto insieme a varie conferme, come quella della ventata di innovazione portata da lui alla pittura in Valtellina, cui accenna Franco Monteforte nella sua sentita e vissuta introduzione agli scritti d'arte: […] Alla Valtellina delle vette e dei ghiacciai, al tremendum dell'ambiente naturale alpino - retaggio romantico che il fascismo aveva ridotto a retorica superomistica - sostituisce il paesaggio naturale di mezza costa e di fondovalle, il silenzio di un bosco, lo scorcio di un torrente, la montagna umanizzata dal lavoro e dalla pietas contadina […], o come quella del ferreo attaccamento ai principi cristiani, che riversava non solo nell'arte ma anche nell'attività politica, anche alcune nuove percezioni come quella di un uomo che anticipava i tempi con prese di posizioni e affermazioni ancor oggi attuali e che talora si rivelano addirittura preveggenti: la necessità di una forte presa di posizione in favore dell'autonomia della nostra valle, per troppo tempo sfruttata, l'importanza di gestire in modo accorto le acque della provincia, l'amore per la Valtellina che ormai sentiva come sua seconda patria e per un turismo più professionale, meno dedicato al solo sci ma più orientato a valorizzare le bellezze naturali e artistiche tanto abbondanti in valle.
La raccolta, presenta testi introduttivi con firme illustri e ben note a Sondrio e in provincia, che oltre ad avere conosciuto di persona l'artista, hanno tuttora o hanno avuto in passato importanti incarichi e qualche esperienza personale al suo fianco o nel campo artistico o in quello della scuola o della politica e sono stati quindi capaci di tracciarne con le loro esperienze vissute un'immagine che ci sembra in complesso originale e inedita. L'introduzione iniziale è a cura di Angela Dell'Oca, direttore del Museo Valtellinese di Storia e Arte, che ne dà un prezioso quadro privato e personale e da due scritti tratti dalle orazioni funebri del gennaio 1987, di Don Abramo Levi, purtroppo recentemente scomparso, che avrebbe dovuto partecipare alla presentazione del volume il 14 settembre, e di Flaminio Piccoli, amico di famiglia fin dai tempi della guerra, delle gite della S.O.S.A.T. (Sezione Operaia Società Alpinisti Tridentini) e delle riunioni della "Juventus" (Associazione studenti medi cattolici).
La prima delle tre sezioni del volume, quella dedicata agli scritti d'arte è introdotta da Franco Monteforte, storico e critico d'arte, che titola il suo stimolante e approfondito scritto : "Livio Benetti, artista, critico e storico dell'arte", mettendo poi in evidenza, oltre al suo acume critico, anche il carattere etico e pedagogico della sua attività, sempre tesa al […] miglioramento intellettuale e morale di tutta la società […].
La seconda sezione è dedicata agli scritti di politica, lavoro, scuola e turismo ed è introdotta da tre significativi testi. Il primo, di Giorgio Scaramellini, consigliere della Fondazione del Credito Valtellinese, vice presidente della SEV e già presidente della Provincia, ricorda "Il professor Benetti" quando era studente all'Istituto Magistrale, facendo emergere i lineamenti di un insegnante concreto, chiaro e originale e di un uomo sempre pronto a offrire il suo lavoro alla comunità come quando nel 1952 si offerse per donare al Rotary il labaretto del club, recentemente rivisitato.
Il secondo, di Bruno Ciapponi, direttore del bollettino della Società Storica Valtellinese e già direttore del Corriere della Valtellina ci parla attraverso gli occhi di un ragazzo che vedeva già in Benetti un uomo impegnato in scritti d'arte, pubblicazioni di una banca locale che ebbero grande successo e in proposte di abbellimento della città tra le quali vennero poi attuate la bella fontana di Negri e i mosaici di Cassinari.
Infine il terzo, di Alberto Frizziero direttore de "La Gazzetta di Sondrio" e già sindaco di Sondrio, ci ricorda non solo le sue esperienze a fianco del politico Benetti, ma anche quelle nella scuola e nell'ambito del CID, Centro Informazione Documentazione, dove maturò gran parte dell'arte valtellinese.
Un ultima sezione è stata poi dedicata ad alcuni brani, tra i più curiosi e significativi, tratti da lettere private degli anni '30 e '40 quando mio padre tra servizio militare e insegnamento a Sondrio presso l'Istituto Magistrale si stava preparando al matrimonio.
La caratteristica di questa seppur brevissima ed ultima parte del volume è che ogni testo porta a corredo uno schizzo con cui mio padre amava decorare le buste, le cartoline o le lettere, piccoli e grandi capolavori di genuinità e naturalezza che sono rivelatori sì del suo amore per il disegno e della facilità con cui utilizzava qualsiasi penna o troncone di matita che gli capitava tra le mani, ma anche testimonianza del suo amore per la vita e del sentito bisogno di fermarne ogni istante sulla carta, come fa anche il fotografo appassionato, quasi avesse avuto paura di perderne il sapore e la bellezza fuggente.
Per concludere, devo dire che mi ha fatto molto piacere riscontrare come molti dei rilievi e degli auspici che mio padre faceva nei suoi scritti, in merito alla sistemazione del territorio o dei beni architettonici e artistici, allora quasi utopistici, mi riferisco alla Chiesa di S. Antonio a Morbegno vero gioiello della valle, o al Castello Masegra, vicino a cui ha vissuto per tanti anni, al Castel Grumello o al lungo Adda dove amava pescare e dove sono stati dipinti alcuni dei suoi quadri più belli, oggi a vent'anni di distanza si sono finalmente realizzati, certamente con sua grande soddisfazione e gioia.

Franco Benetti


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